Onorevoli Colleghi! - La legge 11 febbraio 1992, n. 157, ha prodotto nel nostro Paese un notevole cambiamento dell'uso della caccia introducendo il concetto del «legame del cacciatore al territorio». Tale concetto, pur avendo una valenza nei confronti della selvaggina stanziale per la cui conservazione appare indispensabile la programmazione, diventa del tutto inefficace per la selvaggina migratrice, dove assai più marginale risulta essere l'intervento dell'uomo perché condizionato fortemente dai flussi migratori. La riforma del 1992 ha inteso ordinare la mobilità del cacciatore italiano limitando il nomadismo e ponendolo di fronte alla scelta della forma di caccia: vagante alpina, fissa da appostamento, e l'insieme delle altre forme di attività venatoria previste dalla legge citata.
      La scelta, unica ed esclusiva per la durata di tre anni, ha visto orientarsi la stragrande maggioranza dei cacciatori italiani per la terza forma di prelievo, venendo a determinare una situazione a dir poco paradossale. Tutti coloro che scelgono la caccia da appostamento fisso si condannano - per così dire - agli «arresti domiciliari». Mentre i cacciatori che optano per la prima, ma soprattutto quelli che scelgono la terza forma di prelievo, si ritrovano - loro malgrado - rinchiusi in una «gabbia venatoria» dalla quale possono uscire solamente, e non sempre, con la richiesta d'iscrizione e conseguente pagamento, per accedere a un ambito territoriale di caccia diverso da quello «di diritto». Ancora peggio accade per la caccia alla selvaggina migratoria, dal momento che tale opzione «esclusiva» trascura

 

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inquietantemente il concetto più volte ripreso dalla stessa riforma e dalla direttiva 79/409/CEE del Consiglio, del 2 aprile 1979, e cioè quello incentrato sulle «consuetudini, sulle tradizioni e la cultura delle popolazioni locali».
      Ne consegue che oltre i due terzi della legge n. 157 del 1992 sono dedicati alla programmazione e al prelievo della selvaggina stanziale, trascurando quello della selvaggina migratrice.
      Il nostro Paese, essendo da sempre un importante territorio di transito per le popolazioni migratrici che provengono dal Paleartico, esprime un considerevole numero di cacciatori legati a una consolidata tradizione venatoria.
      In tale senso è stato operato un tentativo, da parte di alcune regioni, di rimediare alla menzionata lacuna con l'intento di regolamentare in qualche modo la mobilità venatoria finalizzata essenzialmente al prelievo della fauna migratoria, introducendo la cosiddetta «teleprenotazione». Altre amministrazioni locali hanno introdotto la vendita di pacchetti di giornate da richiedere con largo anticipo. Purtuttavia i macchinosi accordi interregionali annuali, il più delle volte disattesi, nel primo caso, e i costi pretesi nel secondo, non hanno portato alcun rimedio, determinando fra i cacciatori maggiore malcontento e malumore.
      La proposta di legge non intende stravolgere il concetto di «gestione programmata del prelievo venatorio» riservato agli ambiti territoriali di caccia previsti dalla legge n. 157 del 1992, nè intende limitarne le competenze, ma si propone di svincolare il prelievo della selvaggina migratoria dalle limitazioni e dalle pastoie burocratiche imposte dalle normativa in vigore.
      In tale senso si pone la sostituzione del comma 5 dell'articolo 14 della legge n. 157 del 1992, che introduce un concetto rispettoso delle consuetudini e delle tradizioni delle popolazioni italiane interessate al prelievo, e una particolare attenzione per quelle vocate alla caccia migratoria, restituendo loro il diritto di esplicare tali forme di caccia, non più in via esclusiva e in una sola forma, come indicato dall'articolato vigente.
      I tre articoli della proposta di legge riguardano quindi la problematica da tutti conosciuta come «mobilità venatoria» e rappresentano l'asse portante di una volontà unanime del mondo venatorio. L'attuale regolamentazione, per come si esprime, penalizza pesantemente le consuetudini, le tradizioni e le espressioni culturali legate alla pratica delle cosiddette «cacce tradizionali», che sta rischiando di perdere inesorabilmente le proprie caratteristiche peculiari e determina una condizione di vantaggio per i cacciatori degli altri Paesi che, interessati dai medesimi e comuni flussi migratori, hanno saputo, per mezzo di un'adeguata legislazione, mantenere vive le caratteristiche intrinseche delle proprie tradizioni venatorie.
 

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